A lei piacerebbe passare quattrocento anni vestito come un capocameriere?
Amore al primo morso (Love at First Bite, 1979, di Stan Dragoti)
La continua mutazione del vampiro[1]
Il “vampiro” e indubbiamente un fenomeno culturale. Questa figura e talmente diffusa in tutti i luoghi e le epoche da divenire una costante dei processi culturali. In alcuni periodi storici il “soggetto vampiro” rimane un po’ discosto, nelle “tenebre”, per poi riemergere alla “luce” con tutta la sua forza.
Attualmente – non a caso ci troviamo a ridosso del passaggio del millennio – la situazione politica, sociale ed economica “sembra” (anche se in realtà si tratta di pura apparenza) in fase di crisi e mutamento. Periodo quindi ideale per il risorgere di credenze e miti che affondano le loro origini nell’irrazionale. L’elemento scatenante del fenomeno attuale, che ha periodi di latenza alternati ad altri manifesti, e stata una produzione cinematografica. Sull’onda del successo internazionale avuto dal film di Francis Ford Coppola, Dracula (Bram Stoker’s Dracula, Usa, 1992) – rivisitazione del mito, interpretata con guizzo personalistico dal regista autore della saga del Padrino (The Godfather, 1972) – sono stati prodotti saggi, rappresentazioni teatrali, convegni, nuove interpretazioni del fenomeno. Infine il tema del vampiro ha nuovamente popolato gli schermi del cinema con nuove pellicole. Produzione in costante aumento.
Le origini
Il mito del vampiro affonda le radici nelle prime civiltà mediterranee ed orientali, in quelle classiche, percorre tutto il Medio Evo per arrivare ai nostri giorni.
La derivazione del vampiro “moderno” e abbastanza nota. Il 15 giugno 1816 nella villa Diodati a Ginevra si riunì un gruppo di amici, scrittori, Byron, Shelley, sua moglie Mary e Polidori. Si sfidarono, per gioco, nello scrivere un racconto dell’orrore, ognuno diverso dall’altro. Mary Shelley scrisse il famoso Frankenstein e Byron – altri indicano invece come autore Polidori – la celebre novella The Vampire, capostipiti entrambi del genere horror. L’ulteriore codificazione della figura del vampiro si ebbe nel 1897 con l’uscita del romanzo di Bram Stoker Dracula. Dopodiché le quotazioni della letteratura dell’orrore si impennarono, facendo sfornare agli autori del genere romanzi su romanzi di varia qualità.
Ma, fra tanti nomi, credenze, spicchi d’aglio, crocefissi e raggi di sole, il mito del “succhiatore di sangue”, antecedente alla moderna letteratura dell’orrore, si perde nelle brumose lande di qualche nordico paese dell’est europeo. Dracula – Drakul o Drtakul nella grafia originale – infatti, il vampiro più noto, aveva come campo d’azione la Moldavia e le zone più orientali della Romania. Narra la leggenda che dovesse spostarsi – era tra l’altro un vampiro-demone – portando con se la propria bara, e durante le apparizioni lasciasse le proprie vesti in tale contenitore. Per fermarlo si dice che bastasse sottrargli l’abbigliamento, abbandonato nella tomba momentanea.
Nosferatu, noto per aver popolato con la sua presenza anche l’omonimo film di Friedrich Wilhelm Murnau (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) e il remake girato da Herzog (Nosferatu, Phantom der Nacht, 1978), prediligeva la Valacchia oltre alla sempre apprezzata Romania. Aveva altri nomi, tra cui Moroi che significa “non morto”, e per diventarlo la condizione principale era, ovviamente, di essere morti, possibilmente con i capelli rossi. Per eliminarlo bisognava inchiodarlo nella bara con un ramo d’abete, quindi bruciare tutto.
Ma se, anziché compiere una panoramica in giro per il mondo – che riserverebbe episodi “gustosi”, come i vampiri cinesi, tra cui Ch’Ing Shi, essere orrendo dal volto pallido, con capelli verdi incolti, occhi rossi e sguardo crudele – ci spostiamo in regioni più vicine a noi, osserviamo una concentrazione particolarmente elevata di vampiri nelle terre che formavano l’ormai disciolta repubblica della Yugoslavia.
Il Blautsauger, originario della Bosnia-Erzegovina, e un morto-vivente privo di scheletro, tutto ricoperto di pelo, con grandi occhi infossati di topo. Si dice che debba portare con se parte della terra in cui e stato sepolto, con la quale diffonde il vampirismo fra coloro che dormono. Per arrestarne l’opera bisogna disseminare la sua tomba di fiori di biancospino, che, cosi continua la superstizione, per oscuri motivi sarà costretto a raccogliere. Al sorgere dell’alba si troverà all’aperto, dove i raggi del sole lo dissolveranno.
In Dalmazia invece circola il Kuzlak o Kuzlai. Vampiro bimbo che, invece del latte, succhia il sangue. Un po’ spiritello matacchione si diletta nei “fenomeni paranormali”, come oggetti spostati, mobili volanti, ecc. Anche qui per eliminarlo occorre un paletto appuntito di biancospino, con il quale trapassarne il cuore, meglio se tenuto in mano da un francescano. Stesso metodo per il vampiro dell’Istria, lo Strigon, che vaga nottetempo per casolari e villaggi, aggredendo bimbi e donne, anche solo in forma sessuale. Teme i Kresniki, cacciatori di vampiri e licantropi, “nati con la camicia” – la placenta – un po’ come i Benandanti friulani che, fra il cinque e seicento, proteggevano campi, raccolti e popolazione da streghe e demoni.
Un po’ più giù, verso la Serbia si aggira il Mulo, che deriva da uno zingaro assassinato o da un bimbo morto prematuramente. Beve il vino oltre al sangue (come dice un noto proverbio). E’ sempre ben vestito, anche se predilige il colore bianco. Può trasformarsi in oggetti e vegetali. Infine, la sua specialità: rapisce le belle ragazze, le mette a bollire tutte nude in pentoloni d’acqua, per poi disossarle rendendole cosi della sua stessa consistenza. Esiste, anche in questo caso, l’ammazzavampiro specifico, il Dhamphir, che con riti magici può batterlo e distruggerlo. Sempre in Serbia, terra ricca di mostri e vampiri, si trova il Vlkodlak, maschio trentenne, dall’aspetto rubizzo e “sanguigno”. La sua attività e ciclica, della durata di sette anni. Poi vi e un periodo di latenza, utilizzato per spostarsi in un’altro territorio “vergine”, dopodiché riprende per un altro periodo settennale. Tra le varie doti necessarie per divenire vampiro e richiesta la qualifica di spergiuri, assassini e, inoltre, di aver avuto rapporti sessuali con la propria madrina. E’ possibile trasformarsi nell’abitatore della notte anche in seguito al morso di un lupo mannaro o nel caso particolare in cui ci si sia cibati di carne contaminata da un licantropo. Per distruggerlo bisogna tagliargli i piedi, piantargli un chiodo nella fronte, poi infiggere il sempre presente paletto di biancospino nell’ombelico, quindi coprire le zone pelose del non-morto con pezzi di stoppa, ed infine dare fuoco a tutto quanto con le candele usate per la veglia funebre del “bevitore di sangue”. Un’operazione indubbiamente complessa.
Anche la Croazia ha il suo “mostro” originale, il Pjwika, che oltre a comportarsi come un normale vampiro, necessita di una metodologia particolare per la sua eliminazione. Bisogna tagliargli la testa e infilarla fra le sue gambe (eventualmente, se ciò non e possibile, in seconda scelta, fra le braccia).
E in Italia?
Oltre ai classici vampiri, che ritroviamo provenienti dal vicino confine slavo, sembra non vi sia una caratterizzazione autoctona. Il discorso pero muta se ci soffermiamo sulle donne. Sembrerebbe infatti che in questa “specie” la casistica “demoniaca” sia più ricca. La derivazione e classica, proveniente dalle Lamie dell’antica Grecia, presenti nella mitologia come vampiri, spesso sotto sembianze di uccelli, che succhiano il sangue agli uomini mentre dormono. Da qui si trasferiscono nella Roma antica prendendo il nome di Striges o Mormos, continuando a compiere le stesse azioni di notturne dissanguatrici. Non a caso venivano indicate, pure con il nome di Striges, le cortigiane dai prorompenti costumi sessuali, quasi a sottolineare un parallelo con i significati simbolico – sessuali del vampirismo[2].
Sessualità e delitto
Ma quali sono i motivi per cui si crea la figura del vampiro? Esistono a chiarimento alcuni casi di vampirismo documentato in tempi moderni, e quindi confrontabili con le lontane credenze, che permettono di risalire all’origine del fenomeno.
La contessa Erszebet Bathory faceva il bagno nel sangue delle giovani a cui aveva fatto tagliare la gola, ne uccise più di 600, ritenendo che la sua pelle beneficiasse di queste immersioni. Non era “propriamente” una vampira, anche se vi erano parecchi punti di contatto tra le sue pratiche e quelle specificatamente vampiriche.
Il più noto e sicuramente Peter Kurten, nato in Germania nel 1883. Dalle sue gesta vennero tratti due noti film M, il mostro di Dusseldorf (M, 1931) di Fritz Lang, e La belva di Dusseldorf (Le vampire de Dusseldorf, 1965) di Robert Hossein. A 13 anni aveva tentato di violentare le sue coetanee a scuola, uccidendo anche due bambini. Fra i 17 e i 43 uccise altre tre volte tentando altri sei omicidi. Ma fu solo nel 1925 che inizio la catena di delitti che lo rese famoso. Dieci omicidi, quattro tentativi di omicidio, 14 aggressioni, diciotto incendi. Di notte girava con un’ascia e dei grossi coltelli che utilizzava per placare la sua sete di sangue, bevuto direttamente dal collo delle sue vittime. Inoltre abusava sessualmente dei cadaveri delle bambine da lui uccise.
Non era da meno Vincenzo Verzeni, nato in Italia nel 1849. Uccise due donne, unicamente per poterne bere il sangue. Ciò gli procurava un grande piacere, superiore a quello sessuale. Dichiaro al processo “strangolare le donne mi dava un piacere incredibile, accompagnato da vere e proprie erezioni seguite da uno sfogo completo […] non mi e mai venuto in mente di guardare i genitali di una donna; mi bastava stringere loro il collo e succhiare il loro sangue”. Ma anche la Gran Bretagna ebbe il suo vampiro sotto le spoglie di John Haigh, giustiziato nel 1949.
Uccise nove volte allo scopo di bere il sangue delle vittime. Nel suo memoriale scrisse: “le ho praticato un’incisione alla gola e ho bevuto un bicchiere di sangue. Portava una catenina con una croce al collo; provai un godimento straordinario nel calpestarla”. Un’azione simile a quella dei vampiri letterari o cinematografici di tutto il secolo.
Anche in tempi recenti si sono verificati altri episodi simili. A Rio de Janeiro e stato arrestato Marcello Costa Andreade di 25 anni che ha ucciso, nel solo 1991, 14 bambini, sodomizzandoli e bevendo il loro sangue, e dall’inizio della sua “carriera” almeno 80. E’ stato soprannominato il “Vampiro di Rio”.
Appare chiaro che le connessioni fra sessualità distorta (dal comportamento sociale, da esperienze precedenti, da patologie preesistenti, ecc.) e “desiderio” del sangue sono molte e fondamentali. Analogamente la costruzione del “mito” vampirico si osserva in periodi di turbamenti sociali esasperati (potremmo dire perciò molto spesso). Un ultimo caso, descritto dallo psichiatra Frank Caprio – nel suo trattato Omosessualità della donna (1961) – appare illuminante: “avevo notato anche che arrivava allo stato di eccitazione sessuale mordendo il collo e le spalle della compagna durante la masturbazione reciproca. Amava mordere e succhiare la sua amica fino a provocarle delle ecchimosi. Un giorno che la sua compagna si era tagliata un dito aprendo una scatola di conserve, ella le aveva succhiato il sangue dicendole che la sua saliva era antisettica e guariva le ferite. La malata parlo a lungo dell’eccitazione sessuale che aveva provato succhiando il sangue dell’amica. Ciò prova come a volte l’eccitazione sessuale sia legata al cosiddetto vampirismo”.
Questo ci porta a Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu, che, accanto al Dracula di Bram Stoker, risulta essere il testo più visitato dalle trasposizioni cinematografiche. Film che divengono esempi per dimostrare – in versioni più o meno fedeli al testo originario – gli elementi fondamentali del fascino, dell’uso e della strumentalizzazione della figura del vampiro.
Carmilla seduce le sue vittime scegliendole tra le fanciulle più belle che popolano l’area geografica delimitata dal massimo spostamento consentito dall’ubicazione della cripta – rifugio (ritorno al ventre materno) in cui deve “rientrare” ogni sera.
Duplice quindi la funzione simbolica: il non distacco dalla madre, un legame inibitore, e una sessualità affiorante prepotentemente, ma inibita nel suo realizzarsi dal “sangue” (e dalla figura parentale) assunto quale valore di vita. Parallelamente, altro elemento interpretativo, esiste una funzione sociale del soprannaturale[3] “per molti autori il soprannaturale non era che un pretesto per descrivere cose che non avrebbero mai osato menzionare in termini realistici”. Questa interpretazione vista soprattutto[4] come trasgressione delle regole sociali e non indirizzata ad una visione del soprannaturale. Nel caso specifico di Carmilla come accettazione dell’omosessualità femminile, cosi come più in generale la figura del vampiro richiama esplicitamente ad una promiscuità sessuale posta in una luce ambigua di desiderio-maledizione.
Immagini e movimento
Nel cinema il fattore determinato dal binomio omosessualità femminile – vampiri diviene molto evidente. Il regista spagnolo Jesus Franco intitola addirittura un film Vampyros lesbos (1970, con Soledad Miranda), ma pensiamo anche a Vampiri amanti (The Vampire Lovers, 1970) di Roy Ward Baker che descrive gli “amori” tra Ingrid Pitt (Carmilla) e Pippa Steele, o alla Carmilla interpretata da Alexandra Bastedo in Un abito da sposa macchiato di sangue (La novia ensangrentada, 1972) di Vincente Aranda. Non da meno in Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, 1983) di Tony Scott, in cui assistiamo ai saffici e sanguinari piaceri tra Catherine Deneuve e Susan Saradon. Risale agli anni sessanta la prima versione cinematografica di Carmilla, lo stereotipo della vampira lesbica, grazie a Roger Vadim con il suo Il sangue e la rosa (Et mourir de plasir, 1960) e all’esasperazione delle ambiguità sessuali legate al romanzo. D’altra parte nelle centinaia di pellicole dedicate – o in cui appaiono – vampiri troviamo di tutto e possiamo analizzarle ed interpretarle in maniera diversa a seconda del momento storico in cui appaiono.
Se dopo il Nosferatu di Murnau si passa al Vampyr (L’etrange aventure de David Gray, 1932) di Carl Theodor Dreyer e al Dracula (1930) di Tod Browning interpretato da Bela Lugosi, ben presto il genere si tinge delle caratteristiche di parodia o film comico. Pensiamo a Il cervello di Frankenstein (A.&C. Meet Frankenstein, 1948) diretto da Charles T. Barton con Gianni e Pinotto (Bud Abbott e Lou Costello), nonché nel ruolo del vampiro Bela Lugosi, per arrivare a Tempi duri per i vampiri (1959) di Steno, con Renato Rascel e Christopher Lee, attore quest’ultimo interprete di oltre 13 apparizioni vampiresche a cominciare da quella in Dracula il vampiro (Horror of Dracula, 1958, di Terence Fisher) in cui viene proposto anche Peter Cushing, nei panni dell’antagonista di sempre, Van Helsing. Carriera che continuerà in parallelo a quella del vampiro. Non ultimo, per comicità, il celebre Per favore non mordermi sul collo! (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski, da lui anche interpretato (come “allievo” ammazzavampiri) assieme a Sharon Tate. Doverosa la citazione di Boris Karloff nei panni del Vourdalak (originario della Moldavia, Bosnia e Turchia, o forse si tratta del Vlkodlak serbo?) dall’ironico e rivelatore finale nell’ultimo episodio di I tre volti della paura (1963), diretto da Mario Bava. Autore questo a cui si deve l’eccellente utilizzo nei panni di vampire, redivive et similia, di Barbara Steele a partire da La maschera del demonio (1960)[5]. Il summa della satira si ritrova in Dracula, morto e contento (Dracula, Dead and Loving it, 1995) di Mel Brooks, autore che ha affrontato con forme di parodia quasi tutti i generi cinematografici più noti.
Ma il “genere” si contamina ben presto anche in altre direzioni. Prima la fantascienza. La “cosa” da un altro mondo (The Thing, 1951, di Christian Nyby) e il suo remake La cosa (The Thing, 1982, di John Carpenter); I vampiri dello spazio (Quatermass II, 1957, di Val Guest) con possessioni “quasi” vampiresche e il “quasi” remake Space Vampires (Lifeforce, 1985, di Tobe Hooper), dallo svolgimento non del tutto affine – da notare la sceneggiatura di Dan O’Bannon, autore anche di Il ritorno dei morti viventi (1984) – per non dimenticare Terrore nello spazio (1965, di Mario Bava) ed infine, meta zombi, meta vampiri, i resuscitati di La notte dei morti viventi (The Night of the Living Dead, 1968, di George Romero) capostipite di una nuova serie dedicata ai redivivi.
Una altro grande sottogenere e rappresentato dalla commistione con i film di arti marziali cino-giapponesi. L’incontro vero e proprio con il versante europeo avviene in La leggenda dei sette vampiri d’oro (The Legend of the Seven Golden Vampires, 1975, di Roy Ward Baker) tra Peter Cushing (il più celebre tra gli ammazzavampiri occidentali) e i guerrieri orientali contro un’orda di vampiri di tutti i tipi (da Dracula a quelli cinesi). Il film venne prodotto da una casa inglese, la Hammer[6] celebre per le produzioni seriali dell’orrore assieme alla Shaw Brothers di Hong Kong, specializzata in film d’arti marziali. Ma in Oriente il filone e ricchissimo di fantasmi-vampiro. Come, a puro titolo d’esempio, in Storie di fantasmi cinesi (A Chinese Ghost Story, 1987, di Tsui Hark). Ultimo succedaneo occidentale della serie può essere considerato Buffy l’ammazzavampiri (Buffy, the Vampire Slayer, 1992, di Frank Rubel Kuzui) farsa giovanilistica con eroina, Kristy Swanson, karateka imbattibile in lotta contro una banda di vampiri, piuttosto scalcinati, capitanati da un ironico Rutger Hauer.
Si cambia quindi genere. Fra mode giovanilistiche, Ragazzi perduti (Lost Boys, 1987, di Joel Schumacher), discoteche, Vamp (id., 1986, di Richard Wenk con Grace Jones versione vampiro), girovaghi, Il buio si avvicina (Near Dark, 1988, di Kathryn Bigelow), in carriera, La brillante carriera di un giovane vampiro (I Was a Teenage Vampire, 1987, di Jimmy Huston) per arrivare al capovolgimento del teorema. Il vampiro e buono, gli altri sono cattivi, o perlomeno cattivelli. Ecco cosi Anne Parillaud, ex Nikita, nel ruolo di una vampira “al servizio della legge” in Amore all’ultimo morso (Innocent Blood, 1992, di John Landis) che affronta e sgomina una banda di gangster, mentre Tom Cruise e Brad Pitt passano il secolo in Intervista con il vampiro (Interview with the Vampire, 1994, di Neil Jordan) menando strage di vampiri malvagi, pur essendo anche loro dediti alla vita “notturna”.
E con spirito libertario (nel senso che ci prendiamo qualche licenza) possiamo considerare “vampira” (cattiva o disinibita?) la creatura, geneticamente proveniente dallo spazio, protagonista della serie avente per capostipite Specie mortale (Species, 1995, di Roger Donaldson). Non si tratta forse di una caccia condotta da Michael Madsen (moderno ammazzavampiri) all’affascinante Natasha Henstridge, un’aliena, unica della sua specie, che cerca di riprodursi accoppiandosi con gli umani. Non e forse ciò che fanno i vampiri tradizionali? La risposta non può che essere positiva.
A questo punto possiamo chiederci quali siano le caratteristiche cinematografiche del vampiro. Vaghe, nonostante i luoghi comuni. Quello letterario era ben connotato. Pallore, canini aguzzi, sessualità soffusa, sangue a volontà, la lotta fra il bene e il male, fra la vita e la morte. Nel cinema tutto rimane e tutto svanisce al sorgere del sole. Dal primo Nosferatu le cose sono cambiate. Tante volte. Ma qualcosa e rimasta. Il desiderio della vita. Come quando l’aliena di Specie mortale, seduta a cavalcioni su uno scienziato che ucciderà di li a poco, pronuncia, toccandosi il ventre appena fecondato, la frase chiave della vicenda “Senti la vita che sta sorgendo”[7].
Nel nuovo capitolo che riguarda i cacciatori di vampiri, un film rappresenta il summa di tutti quelli sui cacciatori di vampiri, Van Helsing (id., 2004, di Stephen Sommers) sorta di citazione continua del genere, dei sottogeneri, e non ultimo dei metageneri, vedi l’irriverente e divertente citazione della serie completa di Agente 007, James Bond. Parallelamente anche i serial hanno generato un Van Helsing, una serie televisiva statunitense del 2016 ambientata ai nostri giorni in un mondo devastato da orde di vampiri a cui si oppongono i membri della famiglia Van Helsing, nipoti e pronipoti del leggendario protagonista del film.
La chiave di lettura della pressoché infinita serie di film di vampiri sta proprio qui, nel desiderio di vita. Eterna, forse. Di mantenimento della propria, sicuramente. Certo vista come un fine da perseguire con ogni mezzo. Cacciatori e cacciati, con ruoli che si invertono di battuta in battuta, in scontri sanguinosi e dall’esito incerto. Sembra quasi la vita. Quella quotidiana.
Note
[1] Questo saggio mi era stato commissionato per un volume sui vampiri una ventina d’anni or sono. Non venne pubblicato (il libro) e lo persi. Casualmente ripulendo il computer dopo un passaggio della memoria da uno precedentemente usato ho trovato alcuni file malconci di un word vetusto e quasi illeggibile. Ripulito è apparso un testo ancora attuale. Ovviamente la filmografia si ferma alle soglie del 2000, ma tutto il resto risulta corretto e utilizzabile. Revisionato e pubblicato.
[2] Sui vari nomi attribuiti alle varie specie di vampiri vedi Domenico Cammarota, I vampiri, Fanucci, Roma, 1984, pag. 27-39.
[3] Peter Penzoldt, The Supernatural in Fiction, London, Peter Neville, 1952.
[4] Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1977 (edizione originale Introduction a la literature fantastique, Editions du Seuil, 1970).
[5] Sul cinema di Mario Bava vedi a cura di Giuseppe Lippi e Lorenzo Codelli le schede dei film in Fant’Italia, Trieste, 1976.
[6] Vedi il saggio di Kim Newman La festa di sangue, nel volume curato da Emanuela Martini Hammer & dintorni, edito dal Bergamo Film Meeting nel 1990. Sulla Hammer e soprattutto sulla figura “romantica” del vampiro si veda il saggio di Emanuela Martini “Il ballo dei vampiri”, in Cineforum n. 321, febbraio 1993, pag. 16-29
[7] Frase plausibile poiché l’incrocio genetico proveniente dallo spazio ha un metabolismo accelerato. In poche ore si compie la gestazione simil-umana che richiede normalmente un periodo compreso fra le 38 e le 42 settimane.